Dalle pagine di Calamandrei
balza un quadro vivacissimo e pieno di realismo, illuminato da un'aneddotica
professionale e da una ricca messe di regolette preziose sulla difficile
convivenza tra i due banchi dell'udienza: “'L'avvocato deve sapere in modo così
discreto suggerire al giudice gli argomenti per dargli ragione, da lasciarlo
nella convinzione di averli trovati da sé”; “il cliente non sa che molte volte,
dopo una vittoria, dovrebbe andare ad abbracciare commosso non il suo avvocato,
ma l'avvocato avversario”; “l'indipendenza dei giudici è un duro privilegio,
che impone, a chi ne gode, il coraggio di restar solo con se stesso, a tu per
tu, senza nascondersi dietro il comodo schermo dell'ordine superiore”.
Calamandrei insiste particolarmente sul motivo della comunanza delle vite
parallele: “il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in
una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro
il dolore; infatti il processo, e non solo quello penale, è di per sé una pena,
che giudici e avvocati devono abbreviare rendendo giustizia”.
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