"Una
sorta di interminabile attacco di cuore": così è stato definito "I
diabolici," che - unanimemente considerato un classico della letteratura
noir - non ha perso un grammo del suo torbido fascino: come dimostrano i
commenti dei giovani blogger francesi, i quali scoprono stupefatti quanto l'attuale
letteratura psicologica francese "à suspense" debba a un libro che ai
loro occhi appare "di un'incredibile modernità", dotato di "un
intrigo perfetto" e di "una tensione che fino all'ultimo non ti dà un
attimo di tregua". Come nei migliori romanzi di Simenon, quello che conta
qui è la progressiva perdita, da parte del protagonista, della percezione della
realtà, il suo sprofondare sempre più allucinato in una vertigine di angoscia e
di terrore in cui i deliri si accavallano ai ricordi d'infanzia e a un lacerante
senso di impotenza. Nei "Diabolici" compaiono per la prima volta
alcuni dei marchi di fabbrica della sterminata produzione di Boileau e
Narcejac: lo schema triangolare, l'ambientazione provinciale e piccoloborghese,
il motivo del colpevole tormentato dal rimorso e dalla paura, la contiguità fra
innocenza e colpa; e soprattutto l'inversione dei ruoli: in un'autentica
spirale di orrore, l'assassino si trasforma in una vittima braccata da
"colei che non c'è più" - la donna che sa di aver ucciso.
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