C’erano i pescatori, i contadini,
i pastori. Poi arrivò l’industria. Sradicò masserie e migliaia di ulivi
sostituendoli con duecento ciminiere e con l’acciaieria più grande d’Europa.
Negli anni Sessanta una città povera del Sud italiano divenne la più ricca di
tutte grazie alla fabbrica dello Stato: l’Italsider. Richiamò americani e
giapponesi, accolse trentamila lavoratori. Fu una rivoluzione. Cinquantadue
anni dopo, Emilio Riva, l’imprenditore cui lo Stato ha consegnato la fabbrica
nel 1995, è accusato dalla magistratura di disastro ambientale. Lo stabilimento
in cui si produce un terzo dell’acciaio italiano è finito sotto sequestro e
l’Ilva – la vecchia Italsider – non è più un sogno: uccide. Taranto è
ripiombata nella disperazione, come se una macchina del tempo l’avesse
riportata indietro di mezzo secolo. Ecco la storia di uno scandalo, di un
fallimento, di una generazione illusa dall’età dell’acciaio. E di un Sud
occupato e sfruttato in cui centinaia di migliaia di persone hanno osservato
senza muovere un dito uno stravolgimento gigantesco. Eppure era tutto
bellissimo. «Sembra di stare ai tropici» sussurrò Walter Tobagi quando, per un
istante, volse la schiena alle ciminiere e guardò il mare.
Tonio Attino, giornalista, ha
lavorato per "Quotidiano di Taranto", Lecce e Brindisi, per "La
Stampa" di Torino, collaborato con diverse testate tra cui la Rai,
"L’Indipendente", "Mf", "Capitale Sud" e ha
insegnato diritto dell’informazione al master di giornalismo dell’università di
Bari. Attualmente lavora al "Corriere del Mezzogiorno".
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